C’era una volta il Mulino Bianco: 50 anni di colazioni, sogni e briciole di felicità

C’era una volta il Mulino Bianco: 50 anni di colazioni, sogni e briciole di felicità

C’era una volta un mulino. Ma non uno qualunque. Era un mulino bianco, incastonato tra colline di grano dorato, attraversato da ruscelli limpidi e abitato da un mugnaio un po’ buffo ma pieno di buone intenzioni. Un luogo immaginario, certo, ma così reale nella mente di milioni di italiani che, col passare degli anni, è diventato parte del nostro paesaggio emotivo, familiare, quotidiano. E nel 2025, questo mulino compie cinquant’anni.

Tutto ebbe inizio nel 1975, quando la Barilla decise di sfornare qualcosa che non fosse pasta: un’idea nuova, fragrante, capace di portare sulle tavole degli italiani il sapore di una colazione diversa, più rustica e rassicurante. Nacquero così i primi biscotti: Tarallucci, Galletti, Campagnole… con quei nomi che sembravano usciti da una fiaba contadina, evocando cortili assolati, tovaglie a quadretti e tazze di latte fumante.

Quel mulino, disegnato con fiori, spighe e farfalle, non era solo un logo: era una promessa. Una promessa di semplicità, di cose fatte bene, come una volta. E quella promessa, negli anni, si è trasformata in un racconto condiviso, fatto di pubblicità che ancora ricordiamo a memoria, di colazioni che profumavano di burro e di storie che diventavano piccole routine familiari.

Chi potrebbe dimenticare il Piccolo Mugnaio Bianco? Con il suo cappello oversize, l’aria ingenua e la missione impossibile di conquistare il cuore della bella Clementina, è diventato l’eroe romantico di generazioni cresciute tra merendine e cartoni animati. Era il 1981 quando comparve per la prima volta, e da allora è rimasto lì, a impastare sogni nel suo mulino animato.

Ma Mulino Bianco non è stato solo nostalgia e buoni sentimenti. Ha saputo parlare ai bambini con le sorpresine, quegli oggettini colorati nascosti nelle merendine che rendevano ogni merenda una caccia al tesoro. Ha saputo creare oggetti di culto come il celebre “Coccio”, la scodella da colazione che negli anni ’80 invase le cucine italiane, conquistando sei milioni di case grazie alla prima raccolta punti della storia della marca. Un oggetto semplice, ma che raccontava un modo di stare a tavola: lento, affettuoso, condiviso.

Cinquant’anni dopo, il mulino è ancora lì. Non più solo sulla carta delle confezioni, ma anche nella nostra memoria collettiva. Per il suo compleanno, ha deciso di farsi grande — letteralmente — trasformandosi in una gigantesca installazione nel cuore pulsante di Milano, a Piazza Gae Aulenti, dove per due giorni si è potuto entrare davvero nel mondo che per decenni avevamo solo immaginato. E per chi non c’era, il mulino ha pensato a tutto: un concorso, nuove confezioni celebrative e il ritorno in TV del suo mugnaio più amato, perché ogni festa ha bisogno di un volto familiare.

Oggi Mulino Bianco guarda avanti, con farine da agricoltura sostenibile e una piccola ape che vola sul nuovo logo, simbolo dell’impegno verso la biodiversità e la natura. Ma lo fa senza dimenticare da dove viene. Perché ogni biscotto ha la sua storia, ogni colazione è un rituale, e ogni infanzia custodisce, da qualche parte, l’eco di quel mulino tra i campi.

Cinquant’anni sono volati via come briciole sul tavolo, ma il profumo è rimasto lo stesso. E quel profumo ha il potere di farci tornare, anche solo per un attimo, al tempo delle merende sul divano, delle domeniche lente, dei sorrisi con i baffi di latte.

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