Per chi è cresciuto negli anni Ottanta, le porte dell’immaginazione si aprivano non con un incantesimo, ma con l’accensione di un flusso canalizzatore e una DeLorean che sfrecciava a 88 miglia orarie. Bastava quella scintilla e il tempo smetteva di essere una linea retta: diventava un circuito da percorrere, saltando tra epoche, scelte e possibilità. Ritorno al futuro, uscito nel 1985, è diventato un’icona, un linguaggio comune, un modo per guardare il passato con ironia e il futuro con un pizzico di speranza.
L’idea nacque quando Bob Gale si ritrovò a sfogliare l’annuario scolastico del padre. Si chiese: “Se avessimo frequentato la scuola insieme, saremmo stati amici?”. Una domanda semplice, ma capace di spalancare il portale per una delle avventure cinematografiche più amate di sempre. Robert Zemeckis, complice fidato, trasformò quella domanda in una sceneggiatura che, prima di diventare realtà, fu rifiutata da quasi tutti gli studios di Hollywood. Troppo familiare per alcuni, troppo rischiosa per altri. La Disney la rifiutò per una ragione che oggi fa sorridere: “Una madre che si innamora del proprio figlio? Non è materiale da film per famiglie”. Quanto si è sbagliata!
Il progetto prese slancio quando Steven Spielberg, attraverso la sua Amblin Entertainment, decise di sostenerlo. L’idea iniziale prevedeva che la macchina del tempo fosse un frigorifero, ma fu scartata per un motivo tutt’altro che cinematografico: si temeva che i bambini, suggestionati dalla scena, potessero provare a replicarla in casa. La scelta cadde allora su un veicolo vero, ma fuori dagli schemi: la DeLorean DMC-12, con le sue porte ad ali di gabbiano e l’aspetto da astronave, era perfetta per viaggiare nel tempo.
Mentre l’auto prendeva forma, anche il cast si assestava con qualche scossone. Michael J. Fox era la prima scelta per interpretare Marty McFly, ma gli impegni con la sitcom Casa Keaton rendevano la sua partecipazione complicata. Si optò quindi per Eric Stoltz, ma dopo sei settimane di riprese (alcune delle quali ancora visibili nel montaggio finale) Zemeckis, poco convinto dal tono drammatico dell’interpretazione, lo licenziò e ottenne finalmente il via libera per tornare alla sua idea iniziale. Fox accettò, a condizione di mantenere entrambi gli impegni: sitcom di giorno, film di notte. Dormiva poco, lavorava tantissimo, ma ogni scena che girava sembrava fatta apposta per lui. Tra gli attori che fecero il provino per Marty c’era anche un giovanissimo Johnny Depp: il suo provino fu così poco memorabile che Bob Gale dichiarò di non ricordare neppure di averlo visto.
Il suo compagno di viaggio, il visionario Doc Brown, prese vita grazie a Christopher Lloyd. L’attore ammise di essersi ispirato ad Albert Einstein e al direttore d’orchestra Leopold Stokowski per trovare la giusta combinazione di genialità e follia. Tra le ipotesi iniziali, anche il fedele compagno di Doc Brown aveva preso strade curiose. Non doveva essere un cane, ma una scimmia. Fu il dirigente della Universal, Sid Sheinberg, a stroncare l’idea con una frase rimasta celebre: «Nessun film con una scimmia ha mai incassato un dollaro». E così nacque Einstein, il pastore svizzero con un nome da genio e un’espressione da co-pilota ideale per ogni viaggio temporale.
E mentre Marty sfrecciava tra le epoche, il pubblico imparava a conoscere ogni angolo di Hill Valley, dal centro commerciale Twin Pines (poi Lone Pine, grazie a una modifica nella timeline) alla mitica torre dell’orologio, teatro di una delle scene più elettrizzanti – in tutti i sensi – della storia del cinema.
Non mancavano i retroscena turbolenti neppure tra gli attori secondari. Crispin Glover, interprete di George McFly, non tornò nei sequel per divergenze economiche e creative. La produzione lo sostituì con un attore truccato e l’uso di vecchie riprese, ma Glover fece causa per utilizzo non autorizzato della sua immagine. Vinse, stabilendo un precedente legale fondamentale sul diritto all’immagine, oggi ancora citato nei contratti hollywoodiani.
Il film è una miniera di dettagli gustosi. Quando Lorraine ospita Marty nel 1955, legge il nome “Calvin Klein” sull’elastico degli slip e crede sia il suo nome. In Italia, il marchio venne adattato in Levi Strauss: i Levi’s erano già ampiamente diffusi negli Stati Uniti a quell’epoca, rendendo il fraintendimento meno credibile. In Francia, invece, Marty diventava Pierre Cardin.
E poi ci sono le chicche musicali. Huey Lewis, autore della hit The Power of Love usata proprio nella colonna sonora, appare nei panni dell’insegnante che boccia Marty durante l’audizione musicale, definendo la sua band “troppo rumorosa”. E se vi siete mai chiesti da dove arrivi la tecnica di Marty con la chitarra nella celebre scena al ballo, quando paradossalmente si esibisce cantando Johnny B.Goode davanti al cugino di Chuck Berry, sappiate che è un omaggio a Pete Townshend (per il calcio all’amplificatore), Angus Young (per il solo sdraiato a terra), Jimi Hendrix (per il colpo di scena con la chitarra dietro la testa) e Van Halen (per il tapping). Una lezione di storia del rock in un’unica scena.
In una delle prime scene, mentre Marty si collega a un gigantesco amplificatore che lo scaraventa letteralmente indietro, si legge la sigla “CRM 114” impressa sull’apparecchiatura: è un omaggio diretto a Stanley Kubrick, che usava quel codice come marchio ricorrente nei suoi film, da Il Dottor Stranamore a Arancia Meccanica. Un dettaglio che si nota solo a uno sguardo attento, ma che racconta molto della cura con cui Zemeckis e Gale hanno disseminato riferimenti cinefili nel film.
La trama, invece, è un piccolo capolavoro di costruzione narrativa. Marty, adolescente ribelle con il sogno del rock, finisce catapultato nel 1955 per sfuggire a un gruppo di terroristi libici. Si ritrova così faccia a faccia con i suoi genitori da giovani, finisce per essere salvato da sua madre (che poi si innamora di lui) e deve fare in modo che i suoi futuri genitori si incontrino e si innamorino, altrimenti lui scomparirà nel nulla. Tutto questo mentre cerca di ottenere la scarica di 1,21 gigawatt necessaria a far ripartire la DeLorean e tornare nel suo presente. Un presente che, alla fine, sarà cambiato in meglio proprio grazie al suo intervento nel passato.
Il film ottenne un successo clamoroso. Primo al botteghino nel 1985, superò Rocky IV, I Goonies e Rambo 2. Vinse un Oscar per il montaggio sonoro e diede vita a due sequel che ampliarono l’universo narrativo tra futuri distopici e viaggi nel vecchio West.
Nel tempo, il 21 ottobre è stato celebrato come Back to the Future Day, la data in cui Marty e Doc approdano nel futuro nel secondo film. In occasione di quell’anniversario, nel 2015 il film fu riproposto nelle sale ottenendo incassi record in una sola giornata. Da allora, quella data è diventata un simbolo per i fan della saga, che ogni anno la ricordano con maratone casalinghe, gadget, meme e raduni a tema.
Eppure, dopo tutti questi anni, una sola certezza rimane: chiunque abbia viaggiato almeno una volta nel tempo con Marty e Doc, non è mai davvero tornato indietro.

