Estate 1985. Mentre il mondo canta “We Are The World” e i Live Aid fanno tremare le televisioni di tutto il pianeta, quattro donne mature, ironiche e sfrontate, si preparano a ribaltare i palinsesti della NBC. Non cercano un marito, non aspettano un figlio, non stanno cucinando per nessuno: stanno vivendo. E lo fanno tra un morso alla cheesecake e una battuta tagliente che ancora oggi potrebbe far calare il silenzio in una cena di famiglia il giorno di Natale. Nasce “The Golden Girls”, ma in Italia arriverà con il nome più romantico e profondo di “Cuori senza età”.
Quattro donne over 50 sotto lo stesso tetto, a Miami, con caratteri inconciliabili ma legate da un patto non scritto: l’ironia come scudo, l’amicizia come ancora. Tutto parte da Brandon Tartikoff, presidente della NBC, che dopo una visita alla zia in Florida ha un’illuminazione: la terza età può essere la prima serata. Serve una sceneggiatura forte, vera, diversa. E Susan Harris, già nota per “Soap”, tira fuori dal cilindro quattro ritratti femminili che fanno scuola.
Dorothy, professoressa divorziata con la battuta affilata come un rasoio. Rose, vedova del Minnesota con l’intelligenza emotiva di un cucciolo di Labrador e aneddoti infiniti su Saint Olaf. Blanche, una dea del sesso made in Atlanta che potrebbe flirtare anche con una pianta d’appartamento. E poi Sofia, la mamma siciliana con la borsetta sempre pronta e la verve di chi ha visto la guerra, il Bronx e le lasagne di domenica.
All’inizio i ruoli erano diversi: Betty White doveva essere Blanche, Rue McClanahan doveva essere Rose. Ma le prove ribaltano tutto. Il cambio fu oro puro. Il cast prende forma e Bea Arthur, riluttante ma geniale, diventa Dorothy, la spina dorsale della serie. La serie spacca. Letteralmente. Parte dal sabato sera, conquista tutti e finisce dritta nel prime time. Vince Emmy, Golden Globe, i cuori della critica e pure quelli della famiglia reale inglese. Tutte e quattro le attrici vincono un Emmy. Succede raramente, ma con loro succede. E nel frattempo, le tematiche affrontate sono da manuale: sessualità in terza età, omosessualità, eutanasia, Alzheimer, disoccupazione, razzismo, tutto trattato con una leggerezza profonda che solo la grande scrittura può permettersi.
“Cuori senza età” ci ha insegnato che l’amicizia può diventare famiglia, che la vecchiaia non è una condanna ma un palcoscenico, che si può ridere della morte e commuoversi per una torta andata storta. E soprattutto che non serve un uomo, un lavoro o un corpo giovane per essere protagoniste. Basta avere qualcosa da dire e il coraggio di dirlo. Se oggi possiamo vedere donne di ogni età, forma, orientamento e background protagoniste di serie di successo, è anche merito loro. Perché, ammettiamolo: chi non vorrebbe una nonna come Sophia, una coinquilina come Blanche, una spalla come Dorothy e una pausa caffè con Rose?
Il successo internazionale, la capacità di aprire conversazioni su temi spesso considerati scomodi, il coraggio di mostrare donne reali, con rughe, storie, contraddizioni e sogni, tutto questo ha trasformato la serie in una vera icona pop.
In un momento in cui Hollywood cercava solo gioventù e lustrini, loro portavano sullo schermo verità, sarcasmo e una forma di amore che non ha bisogno di partner romantici per esistere. Oggi, chi rivede una puntata delle Golden Girls non lo fa solo per nostalgia, ma per riconoscere un pezzo di sé in quelle risate. Perché è anche grazie a loro se oggi possiamo parlare di inclusività con più naturalezza. Con la forza gentile di chi sa di essere stata pioniera, anche solo per aver reso sexy una partita a Trivial e rivoluzionaria una chiacchierata a colazione.
E mentre i titoli di coda scorrono, in fondo, ci sentiamo tutti un po’ parte di quella casa di Miami. Dove invecchiare non era una condanna, ma un’avventura tutta da raccontare.
E allora grazie, ragazze d’oro. Per essere state amiche. E per averci fatto ridere, piangere, pensare. Senza età e senza tempo.
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