Dal TrentoDoc al Tastevin: il weekend che ha dato inizio alla mia nuova avventura nel vino

Dal TrentoDoc al Tastevin: il weekend che ha dato inizio alla mia nuova avventura nel vino

Venerdì 24 e sabato 25 ottobre, insieme alla delegazione AIS Brindisi, siamo partiti per il Trentino per ricevere l’attestato di sommelier e il tastevin, simbolo di una competenza conquistata ma anche di una nuova responsabilità. Per molti, quel momento rappresenta la conclusione di un cammino; per me, invece, è stato l’inizio di un viaggio più consapevole nel vino, fatto di suoli, microclimi, fermentazioni e storie che fermentano dentro, proprio come in bottiglia. Il Metodo Classico, o metodo tradizionale, è stato il filo conduttore di questo weekend: il processo che trasforma un vino fermo in spumante attraverso una seconda fermentazione in bottiglia, con l’aggiunta del liqueur de tirage, la lunga sosta sui lieviti, il remuage e il dégorgement che rendono le bollicine fine espressione di precisione tecnica e di terroir. In Italia, le quattro denominazioni simbolo di questa lavorazione sono il Trento DOC, la Franciacorta DOCG, l’Alta Langa DOCG e l’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG, ciascuna con le proprie regole, varietà e tempi di affinamento, ma unite da un’unica idea: la ricerca dell’eleganza attraverso il tempo.

Il nostro viaggio è cominciato sulle colline di Martignano, sopra Trento, da Maso Martis. Fondata nel 1990 da Antonio Stelzer e Roberta Giuriali, l’azienda si è da subito specializzata nel Metodo Classico, adottando la coltivazione biologica e lavorando con uve di Chardonnay e Pinot Nero (e una piccola presenza di pinot meunier) coltivate tra i 450 metri di altitudine. I suoli calcareo-dolomitici, la ventilazione costante e le forti escursioni termiche donano ai vini una trama fine e una freschezza decisa. Entrare in cantina e ascoltare il racconto delle figlie Alessandra e Maddalena Stelzer significa capire che qui la montagna non è solo sfondo ma parte integrante del vino: la roccia entra nel bicchiere, il vento modella i profumi, il tempo affina la finezza.

Nel pomeriggio ci siamo spostati a Trento, alla Casa Ferrari. Fondata nel 1902 da Giulio Ferrari, pioniere che sognava di creare in Trentino uno spumante capace di rivaleggiare con lo Champagne, è stata acquistata nel 1952 da Bruno Lunelli, che ne ha consolidato il successo. Oggi la terza generazione della famiglia Lunelli guida ancora l’azienda e Franco Lunelli, primogenito di Bruno, era presente per consegnarci ufficialmente l’attestato e il tastevin: un gesto carico di simbolismo, ricevuto nel luogo dove la storia del Trento DOC ha preso forma. Un momento che sarà davvero difficile da dimenticare. Qui, tra le bottiglie adagiate a riposare nelle gallerie e l’eco delle fermentazioni lente, si percepisce la differenza che fa il tempo. Il clima trentino, l’altitudine e l’“Ora del Garda” — quel vento che nel pomeriggio risale dal lago e si spinge fino a Trento e alla Valle dei Laghi, portando aria asciutta e un tocco mediterraneo — contribuiscono a definire il carattere unico dei vini della zona: freschi, fragranti, di tensione minerale e precisione aromatica.

Il giorno seguente ci siamo spinti più in alto, in Val di Cembra, una valle scolpita nel porfido, dove la viticoltura si arrampica sui pendii più ripidi del Trentino. A Villa Corniole, azienda a conduzione familiare fondata dalla famiglia Pellegrini, abbiamo visitato la bottaia scavata direttamente nella roccia vulcanica: un luogo che racchiude perfettamente la filosofia di questa terra. I suoli porfirici e l’altitudine conferiscono ai vini una personalità netta e verticale, con acidità vibrante e profumi di agrumi e pietra bagnata. Qui la valle vive di un microclima più fresco, montano, influenzato dalle correnti che scendono dai versanti. Ogni sorso racconta la durezza della pietra e la tenacia dell’uomo che coltiva vigneti eroici.

Da Cembra ci siamo spostati verso sud, in Vallagarina, dove il clima cambia radicalmente. La valle è più ampia, le temperature più miti, i suoli calcareo-alluvionali e le esposizioni meridionali donano ai vini una maggiore rotondità e una frutta più matura. Qui sorge la storica cantina Letrari, le cui origini risalgono addirittura al 1647 a Borghetto d’Avio, con Leonello Letrari che negli anni Sessanta ha avviato la produzione di Metodo Classico di qualità. Oggi la figlia Lucia continua la tradizione con la stessa cura per il dettaglio e la stessa ricerca di equilibrio tra eleganza e struttura. Visitare Letrari dopo aver visto Maso Martis, Ferrari e Villa Corniole è stato come attraversare tre anime dello stesso territorio: la precisione calcareo-dolomitica di Trento, la verticalità vulcanica della Cembra, la morbidezza solare della Vallagarina.

Camminare tra questi ambienti, degustarne i vini, ascoltarne le storie, mi ha confermato una cosa fondamentale: essere sommelier non significa “avercela fatta”, significa essere accettati in un mondo che richiede rigore, curiosità e sensibilità verso il terroir, verso l’uva, verso la bollicina. La pietra a Martignano, la storia di Ferrari, il porfido di Cembra, la maturità della Vallagarina — ogni centimetro di suolo ha parlato, e anche l’aria che accarezza il grappolo, quel vento che viene dal Garda, ha firmato l’etichetta invisibile dei nostri calici. E in quel pranzo all’Osteria del Pettirosso, in compagnia di Roberto Anesi – Miglior Sommelier d’Italia 2017 – non c’era solo convivialità, ma confronto, riflessione, proiezione: quel momento è diventato punto di partenza. Alla fine del weekend ho avvertito una certezza: la porta è aperta. Il tastevin al collo non è trofeo, è impegno. Ogni bottiglia che aprirò sarà una verifica, ogni descrizione in sala un atto di responsabilità, ogni visita in cantina un momento di ascolto. Perché ora inizia la vera avventura.

Lascia un commento